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Le funzioni del terapeuta si dividono in funzioni materne e funzioni paterne. Le funzioni materne sono: la funzione di Io ausiliario(da usare solo con le strutture di personalità psicotiche), la funzione di reveriè(funzioni alfa) per costruire apparato per pensare, la funzione di holding(contenimento psichico), handling (le parole possono essere delle carezze, primo per il cuore), rispecchiamento, l’ascolto ingenuo (accolgo ciò che tu mi dici).

L’ascolto ingenuo, è teoricamente situabile sul polo delle funzioni materne, in quanto si collega all’attenzione primaria della madre verso il bambino. Esso è costituito dal tipo di ascolto principalmente empatico e secondariamente soggettivo(Akhtar S.,2013), si concentra sui contenuti comunicati dal paziente, rilevando le sue preoccupazioni e sofferenze senza rintracciare i conflitti sottostanti. Il clinico rivolgerà la sua attenzione maggiormente all’Io nelle sue componenti consce e preconsce, considerandole a pieno diritto come espressioni superficiali alimentate da fonti di motivazione inconscia. Questo tipo di ascolto, alimenta un sentimento di reciprocità e condivisione di un codice psichico; permette di fare ipotesi sul funzionamento dell’Io nel mondo esterno e sul valore consapevole che dà a determinati contenuti(pur ammettendo che ciò derivi da fonti inconsce); è possibile inoltre cogliere indicazioni circa i transfert in corso o che stanno per avviarsi.

Raccogliendo riflessioni di vari autori Akhtar(Akhtar S.,2013) articola le sue considerazioni sulle funzioni materne e paterne.

Herzog(1984), citato da Akhtar, distingue tra gli atteggiamenti “omeostatico” e “perturbatore”, rispettivamente funzione materna e funzione paterna. Egli ha osservato, che durante le sessioni di gioco con i bambini, le madri, esercitando la funzione omeostatica, si uniscono al gioco che il bambino sta facendo, permettendogli di sperimentare una continuità d’essere, senso di valore e armonia con l’ambiente. I padri invece, esercitando la funzione perturbatrice, non si uniscono al gioco che sta facendo il bambino, ma lo incoraggiano ad unirsi a loro in una nuova attività. Un elemento estremamente importante, è che i padri esercitano la loro funzione perturbante solo in presenza della madre con il bambino; quando quest’ultima è assente, esercitano anch’essi la funzione omeostatica, aggiungendosi al gioco in corso del bambino senza perturbarlo. La funzione omeostatica è condizione necessaria affinchè si possa realizzare la funzione perturbatrice. Entrambe si completano a vicenda, arricchendo l’esperienza del potenziale del sé: la funzione omeostatica consolida e afferma l’esperienza; la funzione perturbatrice, la allarga e la approfondisce.

Quanto inquadrato da Akhtar trova un preciso corrispettivo nelle funzioni del terapeuta e nell’approccio terapeutico. La funzione omeostatica della madre, corrisponde all’ascolto ingenuo, alle funzioni affermative e di holding del terapeuta: esse hanno l’obiettivo di convalidare, rafforzare, stabilizzare l’esperienza di sé. La funzione perturbatrice paterna, corrisponde all’ascolto scettico verso i contenuti consci del paziente, gli interventi interpretativi dell’analista, gli smascheramenti e confronti che pone al paziente: attraverso questa funzione terapeutica si espande la coscienza, la cognizione e l’esperienza di sé. La funzione perturbatrice può essere esercitata a condizione che sia stata prima operata a sufficienza la funzione materna omeostatica. Il paziente dovrà avere un senso di sé e della relazione con il terapeuta sufficientemente stabile per tollerare l’effetto perturbatore e destabilizzante degli interventi interpretativi. Per poter integrare, attraverso il processo terapeutico, aspetti di sè denegati, l’Io deve essere o aver raggiunto livelli sufficienti di forza, capacità di tolleranza e capacità di integrazione.

Wright, citato in Akhtar(2013) pone ulteriori ed inerenti riflessioni. Durante il percorso terapeutico è essenziale che siano esercitate entrambe le funzioni terapeutiche, in base alle circostanze vissute dal paziente, al momento dell’analisi, del livello strutturale e dell’umore attuale del paziente. Esse(le funzioni materne e paterne) danno accesso a domini simbolici differenti. La funzione materna è inerente i domini simbolici del tenere, facilitare, consentire, sopravvivere, aver cura, amare, nutrire, affetto, tolleranza e proteggere(in parte) dalle richieste della realtà; pone le basi del sentimento della fiducia. Il terapeuta, invece, che cerca, confronta, decifra ed interpreta, è scettico, mette il paziente di fronte ai suoi conflitti, rappresenta un padre nella sua severità, che proibisce, che chiama il bambino verso il principio di realtà a cui deve adattarsi. La funzione di contenimento è precondizione necessaria per il processo trasformativo.

Le funzioni paterne del terapeuta sono inerenti le regole, i confini, l’assertività, la protezione, l’ascolto oggettivo(cioè scettico), l’azione perturbante(si esprime favorendo i nessi associativi, incentivando i tentativi di sperimentazione), l’azione antinostalgica del materno.

Akhtar(Akhtar S.,2013) ha definito l’ascolto scettico, costituito prevalentemente dall’ascolto oggettivo, e secondariamente dall’ascolto intersoggettivo, come un processo che pone l’attenzione sul come il paziente comunica i suoi contenuti: l’intenzione è quella di andare oltre il contenuto manifesto e scendere a livello inconscio(a livello delle motivazioni, delle paure, dei conflitti).

Giuseppe Nucara(Nucara G.,2009) articola le sue riflessioni sulla funzione paterna, spiegando attraverso il pensiero di vari autori, la sua funzione all’interno delle dinamiche psichiche, la sia importanza, gli effetti della sua mancanza(come figura nell’orizzonte psichico) e della sua ricerca.

La prima funzione paterna presa in esame è la funzione antinostalgica. Intendendo per nostalgia il costante e duraturo desiderio inconscio di ritorno alla madre(al suo corpo, alla sua figura, alla sua presenza o alla sua assenza), la psiche tende ad essere intensamente desiderosa di voltarsi, tornare indietro, attirata fortemente dal significati veicolati dalla figura materna. Il padre ha la funzione significativa di separare il figlio dalla madre(funzione secante), spingere il bambino lontano dalla nostalgia, orientarlo verso la crescita e l’età adulta. Il divieto edipico è parte dell’espressione di tale funzione.

La mancanza della figura paterna come orizzonte simbolico, intesa quindi non la sua assenza fisica, ma il non assolvimento delle sue funzioni, sembra correlare con una scelta oggettuale omosessuale. Per non perdere l’amata madre, e in assenza della funzione anti-nostalgica del padre, il bambino si identifica narcisisticamente con lei: attraverso una sostituzione, amerà ora i ragazzi, come lui è stato amato dalla madre.

L’elemento mancante paterno si articola anche con la perversione, in quanto l’assenza simbolica del padre, il suo ruolo edipico, la minaccia di castrazione, la funzione secante, il divieto dell’incesto, portano ad una mancata elaborazione dell’Edipo e ad una regressione alla fase sadico-anale in cui non ci sono differenze tra oggetti sessuali, c’è caos e confusione; un mondo dominato da oggetti parziali non differenziati senza valore genitale.

Il setting psicoanalitico, attraverso le sue caratteristiche, si configura come elemento significativo paterno. L’ordine simbolico della legge, di ciò che si può fare e ciò che non si può fare, i limiti, le regole, sono tutti modi di ricostruire e di far sperimentare la dimensione paterna. Allo stesso tempo, implicitamente e inconsapevolmente, cominciare un percorso di analisi significa già, sottilmente, rinunciare alla madre.

Un deficit della funzione paterna, è rappresentato dalla mancanza del significante del “Nome del Padre”, funzione attraverso cui Lacan spiega la funzione edipica paterna. Nucara spiega questo concetto in riferimento alle pazienti anoressiche. Nel loro orizzonte psichico c’è un vuoto della rappresentazione del padre, nella loro storia reale c’è spesso un padre assente, poco valorizzato, che non ha espresso la sua funzione. La madre di queste pazienti, vissuta come fagocitante, terrorizzante ed insaziabile divora avidamente il bambino, per cercare di saziare il suo insaziabile narcisismo; la bambina vive intense angosce di fusione da parte dell’oggetto cannibalico materno, angosce che si esprimono attraverso il sintomo anoressico. Il padre mancante, in questo caso, è mancato nella sua funzione di impedire alla madre di mantenere una relazione fusionale con la bambina.

Un’angoscia di castrazione e un sentimento di colpa poco consistenti, potrebbero essere una delle caratteristiche psichiche della creatività. Si verificherebbe la ricerca inconscia, compensatrice, di un padre immaginario, potente, protettore.

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